Combat Rock – Port Elizabeth weather fine

CR - Sudafrica

1988. Era un mondo diverso, forse più semplice di quello di oggi. Gli schieramenti erano ancora chiari e riconoscibili. A Est, la Perestrojka di Gorbaciov stava creando nuove libertà per i cittadini sovietici, anche se nessuno di noi si aspettava che pochi mesi dopo la tempesta avrebbe travolto il muro di Berlino e tutti quelli che ci vivevano dietro.

A Ovest stava per concludersi il secondo mandato presidenziale di un ex mediocre attore e portavoce di grandi corporation, che negli otto anni precedenti aveva parlato soprattutto di “Guerre stellari”, di “Imperi del male” dalla Russia al Nicaragua, di “trickle down theory” e che, di fatto aveva smantellato il sistema di ammortizzatori sociali in piedi dal New Deal.

Alla fine dell’anno avrebbe lasciato il posto al suo vice, che avrebbe posto un mattone decisivo nella costruzione del mondo contemporaneo, un mattone che in Italia ci fu raccontato da Emilio Fede nella notte di Italia 1, la Prima Guerra del Golfo.

Nell’estate del 1988, in Italia si ballava una canzone che all’apparenza era il classico tormentone estivo dalla musica allegra e orecchiabile, in cui il cantante chiedeva alla sua Jo’anna di dargli una possibilità.

Però le cose non stavano proprio così.

 

Basta leggere il testo della canzone per capire che non si parla di ragazze e di amori estivi. Eddy Grant viene dal Sudafrica e in Sudafrica, nel 1988, bianchi e neri dovevano vivere separati e non avevano gli stessi diritti. La ricchezza e il potere erano concentrati nelle mani dei discendenti dei boeri e degli inglesi.

I leader dei movimenti per i diritti civili e i rappresentanti dell’African National Congress, il principale movimento che rappresentava la gente di colore erano perseguitati, incarcerati e a volte uccisi. Nelson Mandela, il principale leader dell’ANC, era in prigione nel carcere di massima sicurezza di Robben Island dal 1962.

La Jo’anna di cu parla la canzone è la citta di Johannesburg, capitale di questo regime oppressivo e razzista che, nonostante le pressioni internazionali, continuava imperterrita con questa politica.

Però i tempi stavano cambiando. Da anni, per esempio, i principali musicisti del mondo – con la sola eccezione dei Queen, che per questo si attirarono non poche critiche – evitavano questo mercato potenzialmente ricco e iniziavano i primi grandi raduni musicali contro questo regime.

Anche all’interno c’erano voci critiche, non solo nere, come quella del cantante Johnny Clegg.

L’isolamento culturale porta a strani fenomeni. Ciò che da alcune parti è considerato un successo universale, altrove può essere del tutto ignoto e viceversa.

È il caso della storia di Rodriguez. All’inizio degli anni ’70 questo cantautore di Detroit incise due album che in patria non ebbero alcun successo, tanto che venne licenziato dalla sua casa discografica mentre stava scrivendo i brani del terzo album.

Però la sua musica arrivò in qualche modo in Sudafrica e lì si diffuse a macchia d’olio, grazie soprattutto al passaparola e alla circolazione di cassette copiate artigianalmente (i dischi troveranno una diffusione ufficiale solo anni dopo).

I testi delle canzoni di Rodriguez erano mal sopportati dalla censura locale, che arrivava a rigare le tracce dei vinili per evitare che le radio potessero trasmetterle, ma questo non fece altro che contribuire alla diffusione underground delle sue canzoni, che, almeno in parte, divennero la colonna sonora dei movimenti giovanili che combattevano l’apartheid.

Inoltre l’assenza di comunicazione e di notizie alimentava le notizie su Rodriguez. Si diceva che fosse morto, che si fosse sparato o addirittura che si fosse dato fuoco sul palco.

In realtà, come si può vedere in Searching for Sugar Man, il film del 2012 che racconta questa incredibile e affascinante storia, Sixto Rodriguez era vivo e vegeto nella sua Detroit, dove lavorava come manovale e dove si impegnava per la sua comunità. Si candidò a diverse cariche pubbliche negli anni ’80 e aveva quasi completamente abbandonato il mondo della musica, se si eccettua un breve tour in Australia, altro luogo in cui la sua musica aveva trovato un piccolo successo.

Il film racconta come un giornalista sudafricano riuscì a scoprire quasi per caso che Rodriguez era vivo e nel 1996 organizzò un tour nel Sudafrica ormai libero dal regime dell’apartheid a cui parteciparono migliaia di persone.

Oggi, Rodriguez continua a vivere nella sua umile casa di Detroit e occasionalmente gira il mondo per suonare la sua musica che ha trovato il successo in un luogo lontano.

In Sudafrica, Rodriguez aveva anche fan importanti. Secondo le cronache uno di questi era il giornalista Steve Biko, arrestato e ucciso a Port Elizabeth nel 1977.

La canzone che gli dedicò Peter Gabriel nel suo terzo album da solista è perfetta per raccontare l’attenzione che il mondo della musica dedicò alla situazione sudafricana. Durante tutti gli anni ’80 i principali gruppi rock si occuparono in un modo o nell’altro di sostenere la campagna di pressione internazionale che chiedeva all’oppressivo regime guidato da Pieter Willem Botha di liberare i principali attivisti per i diritti civili, con in testa Nelson Mandela, e soprattutto di porre fine al regime dell’apartheid.

Canzoni come Sun City di Little Steven, storico chitarrista della E Street Band, Silver and Gold degli U2, Mandela Day dei Simple Minds fotografano un grande interesse per la causa sudafricana. Il movimento mediatico e culturale per questa causa fu enorme.

Uno dei momenti di maggiore risonanza a livello mondiale fu il Nelson Mandela 70th BIrthday Tribute. L’11 giugno 1988, una settimana prima del settantesimo compleanno del leader dell’ANC, che in quel periodo era ancora rinchiuso a Robben Island, alcuni tra i maggiori artisti del momento si riunirono al Wembley Stadium di Londra per celebrare il leader della lotta all’apartheid e chiederne la liberazione.

L’evento fu trasmesso in tutto il mondo, e io mi ricordo di averlo seguito, ma, in diversi paesi – significativamente negli Stati Uniti, dove fu trasmesso dalla Fox, subì diversi tagli e censure per limitarne il messaggio politico. Eppure, la forza delle proteste e la pressione politica portarono infine alla liberazione di Mandela e alla fine del regime dell’apartheid in Sudafrica.

Dopo la sua liberazione, Nelson Mandela ha vinto il premio Nobel per la pace insieme al successore di Botha, Frederik de Klerk, poi è diventato presidente del Sudafrica. Durante gli ultimi anni della sua vita, il suo amore per la musica rock non è mai diminuito ed è più volte apparso accanto a musicisti e rockstar che lo visitavano e gli rendevano omaggio. La musica divenne un modo per affermare una nuova immagine del Sudafrica, che, dopo anni di boicottaggio rientrò nel giro dei paesi occidentali. Il giorno del suo novantesimo compleanno, 20 anni dopo il grande concerto di Londra, si svolse un altro grande concerto a Hyde Park, con lo scopo di aumentare la consapevolezza nei confronti di uno dei grandi problemi che affliggono il Sudafrica del nuovo millennio, la diffusione dell’HIV e dell’AIDS.

In questo concerto, che portava il nome 46664, cioè il numero di matricola del prigioniero Mandela, si esibirono ancora una volta molti grandi nomi della musica contemporanea, rendendo ancora una volta omaggio a una delle più grandi figure del XX secolo.

Potete scoprire tutti gli altri podcast di I giorni cantati sulla pagina Facebook, sul sito del Circolo Gianni Bosio e su igiornicantati.wordpress.com.

Io sono Daniele Funaro e vi do appuntamento alla prossima volta ricordandovi che Londra affonda e io vivo vicino al fiume.

Extra

Nel testo della puntata ho parlato dei tanti artisti che hanno sostenuto la causa della libertà per il Sudafrica e per la libertà di Nelson Mandela. In prima fila tra questi artisti possiamo annoverare gli U2. Il gruppo irlandese, che ha fatto dell’impegno politico (incarnato soprattutto da Bono) una delle sue principali bandiere ha scritto due canzoni espressamente dedicate alla causa sudafricana.

La prima è uscita come b-side del singolo di Where the streets have no name ed è stata ripubblicata in versione dal vivo nel disco e film del 1988 Rattle and Hum.

La seconda canzone è stata scritta come colonna sonora per il film Long Walk to freedom di Julian Chadwick del 2013,  tratto dall’autobiografia di Nelson Mandela. Per quest’ultima canzone la band irlandese ha vinto il Golden Globe.

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