Potete ascoltare questa puntata di Combattere Rock sul sito de I Giorni Cantati.
Questa storia inizia come tante altre. Siamo in una scuola di un quartiere popolare. Non povero, ma di sicuro non ricco. Un ragazzo appende un cartello alla bacheca degli studenti. Suona la batteria e cerca compagni per suonare insieme. All’annuncio rispondono sei persone: due fratelli che suonano la chitarra (e ne hanno anche costruita una), un altro volenteroso chitarrista che si presenta con un amico, un ragazzo con la testa piena di ricci biondi che suona il basso e un altro. Alla fine del pomeriggio rimangono in cinque: i due fratelli, il volenteroso chitarrista, che verrà dirottato alla voce, il bassista e il padrone di casa. Iniziano a suonare in giro e, dopo essere rimasti in quattro quando uno dei due fratelli lascia la band per formarne una sua, iniziano anche ad avere un piccolo successo locale. Tre anni dopo incidono il loro primo singolo. Quarant’anni dopo non si sono ancora fermati.
C’è una cosa che rende gli U2 diversi dagli altri gruppi che si sono affacciati sulla scena agli inizi degli anni ’80 e che è stata sempre la loro forza, ma anche la fonte di molte critiche, alcune motivate, altre decisamente preconcette.
I quattro ragazzi provenienti dal Northside di Dublino hanno sempre avuto, oltre a una determinazione feroce nel voler raggiungere i loro obiettivi, una rigida etica e un altrettanto rigido senso di appartenenza. Non è automatico rendersi conto che da 40 anni gli U2 non hanno mai cambiato formazione e che, durante la loro carriera, solo due volte hanno suonato dal vivo senza uno dei membri (una volta nel 1993 per un problema di droga del bassista Adam Clayton e un’altra volta nel 2014 dopo una rovinosa caduta dalla bicicletta di Bono).
La Mount Temple School, dove il gruppo ha avuto origine, è una scuola multiconfessionale, e questo nell’Irlanda degli anni ’70 è un fatto abbastanza particolare. Sono gli anni dei troubles, della recrudescenza della violenza settaria che insanguina l’Ulster, ma che lascia il suo segno anche nella Repubblica d’Irlanda, come il 17 maggio 1974 quando tre autobombe esplodono nel centro di Dublino facendo 33 morti e circa 300 feriti, il più grave fatto di sangue di quegli anni. Lo stesso Paul David Hewson, che diventerà cantante della band, viene da una famiglia con un padre cattolico e una madre anglicana e crescerà seguendo la fede della madre.
È in questo contesto che si formano gli U2, e proprio questo clima contribuisce alla loro etica e alla loro fede, che emerge prepotente in molti dei testi che Bono scrive durante tutta la sua carriera. E questo elemento marca una netta differenza con atri gruppi dello stesso periodo. Trovare un gruppo con un’etica e un impegno così rigido nei “disimpegnati anni ’80” è uno degli elementi che hanno reso gli U2 così diversi dagli altri e così facilmente riconoscibili. Non è facile immaginare una qualsiasi altra band di quel periodo che canta una canzone come Gloria.
È difficile per me essere oggettivo parlando degli U2. Sono stati una parte una parte fondamentale della mia adolescenza, e occupano tuttora un posto importante nella mia discografia. Ma c’è un elemento oggettivo, nella loro musica, che per me fa la differenza: la chitarra di The Edge.
Dave Evans non è noto per la sua velocità o tecnica sopraffina, ma, per me è uno dei chitarristi fondamentali nella storia della musica, uno che ha scoperto un territorio sonoro che prima di lui era completamente inesplorato. Ci sono diversi siti internet dedicati a studiare la complessa catena di effetti e di trucchi usati da The Edge per ottenere quello che vuole, come il fatto che usa il plettro al contrario per ottenere un suono più “graffiato” dalle corde, ma la verità è che, dopo di lui, molti chitarristi e molte band hanno cercato, spesso con scarso successo, di imitarne il suono. Uno degli elementi fondamentali dello stile di The Edge, almeno fino al 1990 è l’uso di effetti come il chorus o il delay, che conferivano alla sua chitarra uno suono etereo e sospeso. Da questo punto l’incontro con Brian Eno, che è una specie di quinto membro della band, è fondamentale. The Unforgettable Fire, quarto album in studio degli U2 e primo prodotto da Eno, è un saggio di questo suono che all’epoca era completamente diverso da qualsiasi altro.
Quando si può dire che una band ha davvero conquistato il mondo? Per gli U2 la risposta è quasi certamente il 13 luglio 1985 al Wembley Stadium di Londra. L’esibizione dei quattro dublinesi al Live Aid inizia alle 5.20 del pomeriggio e prevede tre canzoni. Dopo l’introduzione da parte di Jack Nicholson, inizia come previsto con uno dei pezzi più famosi della band fino a quel momento, Sunday Bloody Sunday. La folla li segue e partecipa al coro che Bono lancia ogni volta prima dell’ultima strofa.
La seconda canzone viene dal più recente album della band, The Unforgettable Fire. Si tratta di una ballad sulla droga. Come al solito Bono inizia a inserire piccole parti di altre canzoni al suo interno. Il primo è Satellite of Love di Lou Reed, e durante la canzone inserisce snippet di Ruby Tuesday, Simpathy for the Devil e Walk on the wild side. L’esecuzione è notevole, come spesso capita, ma non è per meriti musicali che quel pomeriggio segna il lancio degli U2 sulla scena mondiale del rock.
È un gesto di Bono che cambia la storia dei quattro dublinesi. Quel pomeriggio a Wembley, il palco del Live Aid è davvero molto alto e distante dalle transenne del prato. C’è bisogno di spazio per sistemare le telecamere per la diretta mondiale.
Come si può vedere dal video dell’esibizione, disponibile su Youtube e documentato da una cronaca secondo per secondo da Rolling Stone, dopo sei minuti e nove secondi dall’inizio della canzone, Bono fa cadere il microfono e, mentre la band continua a suonare, si dirige verso la parte anteriore del palco e indica una ragazza in prima fila. La sicurezza estrae la giovane Melanie Hills, e subito dopo anche sua sorella Elaine. Vorrebbe che la sicurezza le facesse salire sul palco con lui, come succede nei concerti degli U2, ma questo non avviene. Allora decide di prendere la situazione in mano e salta giù dal palco.
Abbraccia una terza ragazza che era stata estratta dalla folla, che si chiama Kal Khalique e che era lì per vedere gli Wham, balla con lei per qualche secondo, poi la bacia sulla guancia. Nel frattempo la band continua a suonare anche se non vede il loro cantante. The Edge ha confessato che stavano per smettere di suonare quando Bono è finalmente ricomparso insieme alle sorelle Hills sulla parte anteriore del palco.
Il finale della canzone è una specie di trionfo, ma è quella rottura del protocollo da parte di Bono che ha segnato quel giorno e che ha mostrato al mondo di che pasta era fatta quella che sarebbe stata definita da lì a poco la più grande rock band del pianeta.
23 settembre 1997. Martedì. A Sarajevo la guerra è finita poco più di un anno e gli U2 stanno per mantenere una promessa fatta da Bono poco dopo la fine dell’assedio. Già durante l’ultima parte dello ZooTV Tour la band si era collegata con alcuni cittadini di Sarajevo per raccontare l’orrore della guerra che insanguinava la Bosnia e poco dopo Bono e The Edge, insieme a Brian Eno, avevano partecipato a un Pavarotti International presentando Miss Sarajevo, una canzone dedicata a uno dei momenti più tragicamente surreali di quel tremendo conflitto. Nel 1993, con la città isolata e con i cecchini che colpivano indiscriminatamente dai palazzi, a Sarajevo si tenne un concorso di bellezza. La vincitrice, Inela Nogić, che sarebbe stata invitata sul palco da Bono in quella notte di settembre, dichiarò in seguito che l’idea era di cercare di mantenere un minimo di normalità in quella follia. Durante la sfilata finale le partecipanti mostrarono a tutti uno striscione con scritto in inglese “Don’t let them kill us”.
Alla fine del 1995 il cantante degli U2 aveva visitato Sarajevo con la moglie Ali e aveva promesso che sarebbe tornato con tutta la band. L’occasione si presentò due anni dopo durante il Popmart Tour. Ci furono grandi difficoltà dal punto di vista logistico per far arrivare i 60 camino che trasportavano l’attrezzatura per l’enorme palco con l’arco dorato, il limone e l’enorme schermo, ma sia il gruppo, sia l’organizzazione locale non volevano accontentarsi di uno spettacolo in tono minore. Quel martedì sera allo stadio Koševo, che aveva ospitato i Giochi Olimpici Invernali del 1984 e che era diventato un obitorio durante la guerra, circa 45.000 spettatori assistettero allo show. Tra loro c’erano anche 10.000 soldati e 6.000 membri della Forza di Stabilizzazione in uniforme e anche spettatori provenienti da Slovenia, Croazia e Serbia. Il governo bosniaco aveva anche previsto che, per quella sera gli sloveni non avessero bisogno del visto d’ingresso. Poco prima del concerto le autorità decisero di aprire i cancelli anche a chi non aveva il biglietto. Per una sera, pochissimo tempo dopo la fine di uno dei più laceranti conflitti della storia recente, Sarajevo tornava a essere almeno un po’ una città aperta e multietnica.
A leggere le recensioni di quella sera si capisce che, dal punto di vista musicale, quello non fu forse il migliore concerto del tour. Bono, che aveva problemi di voce da tempo, si svegliò praticamente afono e riuscì a stento a completare il concerto grazie a inalazioni di cortisone. Però ci sono un paio di momenti dello show da ricordare. Durante il Popmart Tour, a metà dello show, The Edge conduceva un karaoke per il pubblico (nel concerto di Roma a cui ho assistito la canzone scelta fu Nel blu dipinto di blu). In questa occasione, The Edge imbracciò la sua Les Paul Custom e fece riscoprire alla band una delle canzoni che l’aveva resa famosa, che quella notte assumeva un nuovo significato.
Vi ricordo che potrete trovare il testo integrale della trasmissione sul mio blog, anticostagno.net, insieme a una serie di materiali aggiuntivi. Potete anche scoprire tutti gli altri podcast di I giorni cantati sulla pagina Facebook, sul sito del Circolo Gianni Bosio e su igiornicantati.wordpress.com.
Io sono Daniele Funaro e vi do appuntamento alla prossima volta ricordandovi che Londra affonda e io vivo vicino al fiume.