Fin da quando il rock è diventato un genere musicale a sé stante, la struttura delle canzoni è stata più o meno sempre la stessa: un’alternanza di strofe e ritornello, con un bridge che cambia per un momento l’armonia, uno o più assoli di chitarra o di tastiera. Se ci pensate, quasi tutte le canzoni che amiamo sono fatte così. Quasi tutte le canzoni che hanno successo sono fatte così. E sono fatte così anche la gran parte delle canzoni perfette che racconterò in questo podcast.
Ecco, questa canzone non è fatta così.
Come tutte le regole, anche questa ha delle eccezioni, e una di queste eccezioni è la canzone che racconto oggi. Per prima cosa, questa canzone riesce nella difficilissima impresa di unire il mainstream con quello che all’epoca si chiamava rock alternativo. Poi, non è una canzone che ha una struttura classica. Infine, non è una canzone costruita intorno a uno strumento tipico del genere a cui appartiene.
Eppure.
Eppure questa è una canzone perfetta.
È una canzone perfetta perché nonostante tutto quello che non è, è un pezzo rock come pochi altri.
È una canzone perfetta perché sembra una di quelle che consoci da sempre, anche quando la ascolti per la prima volta.
È una canzone perfetta perché quando è uscita è stata una delle canzoni che hanno contribuito a cambiare il panorama della musica che girava intorno.
La canzone perfetta di oggi è Losing My Religion dei R.E.M.
Losing My Religion è stata pubblicata il 19 febbraio 1991 come primo singolo dell’album Out of Time, che sarebbe uscito il 12 marzo dello stesso anno. Ha venduto oltre 18 milioni di copie in tutto il mondo e si tratta dell’album che ha trasformato i R.E.M. in vere rockstar a livello mondiale, e, in buona parte, questo successo è legato proprio a Losing My Religion. Fino a quel momento i R.E.M. erano una band di culto del cosiddetto rock alternativo.
Tutti e quattro i membri vengono da Athens, in Georgia. La storia racconta che Michael Stipe incontrò il chitarrista Peter Buck in un negozio di dischi e che i due diventarono amici proprio a partire dai gusti musicali in comune. Parliamo di artisti come Patti Smith e i Television. Attraverso un’amicizia comune, i due entrarono in contatto con Mike Mills e Bill Berry, un bassista e un batterista – anche loro studenti dalla University of Georgia – che suonavano insieme dai tempi del liceo. “Non c’è mai stato un grande piano dietro,” dichiarò Stipe parlando del loro esordio. La band che sarebbe diventata i R.E.M. si esibirono per la prima volta il 5 aprile 1980 in una chiesa sconsacrata di Athens, prima ancora di decidere un nome. Il loro primo EP, Chronic Town, uscì ad agosto del 1982 dalla I.R.S., che pubblicò anche i primi cinque album della band. Da quel momento, i R.E.M. iniziano una carriera che li porta in giro per gli Stati Uniti e per il mondo.
La loro musica si distingueva da quella degli altri per diversi motivi: il primo è il suono che Stipe, Mills, Buck e Berry costruiscono fin dall’inizio. In un periodo come gli anni ’80, in cui le radio che trasmettono rock sono sommerse di gruppi principalmente hair metal, basati su chitarre distorte e suoni enormi, o su gruppi che facevano dei sintetizzatori la loro principale impronta sonora, i R.E.M. avevano costruito uno stile sonoro diverso, fatto principalmente della Rickenbacker 360 di Peter Buck con un suono pulito o con una distorsione appena accennata, delle linee di basso di Mike Mills, sempre più complesse di quanto non sembri e ricche dal punto di vista melodico, e dalla batteria precisa e sicura di Bill Berry. E, soprattutto dalla voce affascinate e un po’ spiazzante di Michael Stipe, che ha la capacità di aggiungere un tono sospeso e vagamente inquietante anche all’armonia più dritta. Canzoni come Radio Free Europe o So. Central Rain tratte dai primi due album della band, Murmur e Reckoning, sono la perfetta rappresentazione di questo approccio.
La loro musica si distingueva da quella degli altri per diversi motivi: il primo è il suono che Stipe, Mills, Buck e Berry costruiscono fin dall’inizio. In un periodo come gli anni ’80, in cui le radio che trasmettono rock sono sommerse di gruppi principalmente hair metal, basati su chitarre distorte e suoni enormi, o su gruppi che facevano dei sintetizzatori la loro principale impronta sonora, i R.E.M. avevano costruito uno stile sonoro diverso, fatto principalmente della Rickenbacker 360 di Peter Buck con un suono pulito o con una distorsione appena accennata, delle linee di basso di Mike Mills, sempre più complesse di quanto non sembri e ricche dal punto di vista melodico, e dalla batteria precisa e sicura di Bill Berry. E, soprattutto dalla voce affascinate e un po’ spiazzante di Michael Stipe, che ha la capacità di aggiungere un tono sospeso e vagamente inquietante anche all’armonia più dritta. Canzoni come Radio Free Europe o So. Central Rain tratte dai primi due album della band, Murmur e Reckoning, sono la perfetta rappresentazione di questo approccio.
Questa combinazione fa diventare fin da subito la band dei quattro ragazzi di Athens una delle favorite del circuito delle cosiddette college radio, le radio gestite dagli studenti universitari che trasmettevano e che di solito erano specializzate nello scoprire e nel diffondere la musica di band che ancora non erano entrate nel circuito delle major. Un altro motivo per la loro fama è anche il fatto che le loro canzoni riescono a essere misteriose ed evocative, ma allo stesso tempo fortemente politiche. Nei primi album, la voce di Michael Stipe è trattata spesso come uno strumento, il che significa che a volte è un po’ “persa” nel mix finale della canzone, rendendo difficile capire il testo. Tra l’altro, gli album dei R.E.M. non hanno mai incluso le liriche delle canzoni, a eccezione di quelle di World Leader Pretend su Green e quelle degli ultimi album, da Up in poi.
Però, se si va a leggere, i testi delle loro canzoni sono fortemente politici: in particolare quelli di Document, uscito nel 1987, raccontano una radicale opposizione al reaganismo che in quel momento dominava gli Stati Uniti. Basta solo citare il titolo di una canzone, Exhuming McCarthy, per capire il livello di critica feroce che Stipe e soci mettono nelle loro canzoni.
Il 1988 è un anno decisivo per la carriera dei R.E.M.: in quell’anno firmano per la Warner, che garantisce loro la totale libertà creativa, fanno uscire un nuovo album intitolato Green e lo portano in tour in tutto il mondo per quasi un anno, passando anche per la prima volta in Italia, il 15 giugno al Palatrussardi di Milano, seguito da altre due date a Bologna e Perugia.
Al termine di questo tour, la band è stremata e decide che per l’album successivo non farà concerti. Peter Buck in particolare è stanco del suo ruolo e del suo suono: “Credo che avesse paura di diventare un guitar dick, un coglione con la chitarra. Usava sempre questa espressione,” dichiara Stipe in una puntata di Song Exploder. Perciò il chitarrista inizia a esplorare nuovi territori sonori e strumenti diversi. Oltre all’acustica, inizia a usare uno strumento inusuale per il panorama della musica rock: il mandolino. In realtà, questo strumento aveva già fatto la sua apparizione: c’è una canzone in Green in cui Buck lo usa per costruire la base della canzone. Si tratta di You Are the Everything, una ballata introdotta dal suono dei grilli e che ha una bellissima atmosfera notturna.
Quando Buck, Mills, Berry e Stipe iniziano a lavorare al nuovo album, Out of Time, decidono che vogliono seguire una nuova direzione e fare un disco profondamente diverso dai precedenti. “Pensavamo: faremo un disco che distruggerà la nostra carriera, poi ne faremo un altro e andrà tutto bene,” chiarisce Buck, rendendo evidente qual era l’atteggiamento della band al nuovo lavoro.
Losing my Religion viene registrata nel settembre 1990 ai Bearsville Studios di Woodstock, gli stessi dove tre anni prima era stata registrata Tom’s Diner, la canzone protagonista della scorsa puntata. Il produttore è Scott Litt, che aveva già collaborato con i R.E.M. ai due album precedenti e che produrrà anche i successivi Automatic for the People e Monster. Il pezzo nasce da un demo di Peter Buck che sperimenta con il mandolino. In mezzo alle varie prove, si trova l’intera struttura armonica della canzone, già completa dall’inizio alla fine. Intervistato da Hrishikesh Hirway per la trasmissione Song Exploder, Buck ha detto che si accorse solo dopo che il riff principale della canzone assomigliava a quello di Merry Christmas Mr. Lawrence, il tema scritto da Ryuichi Sakamoto per il film Furyo. La struttura armonica composta da Buck però ha una particolarità: Rick Beato, produttore musicale e gestore di un canale di Youtube con quasi due milioni di iscritti, spiega come l’intera canzone sia costruita quasi solo su accordi minori, con una sequenza prima, quinta minore, quarta minore. Questa sequenza di accordi è usata raramente e contribuisce in maniera decisiva a creare quel feeling malinconico che è uno dei principali elementi di fascino della canzone.
Su questa base, il basso di Mike Mills gioca un ruolo oscuro ma importante: secondo Peter Buck, è il basso che trasforma il suo riff, che lui stesso definisce “banale,” in qualcosa di unico. Come ho già evidenziato, Mills è un bassista che non si limita a sottolineare le note principali degli accordi, ma fa un lavoro profondo e melodico. Per questa canzone ha dichiarato di essersi ispirato allo stile di John McVie dei Fleetwood Mac perché la canzone gli sembrava qualcosa che quella band avrebbe potuto scrivere. La linea di basso crea diverse dissonanze con la base di mandolino e chitarra acustica e contribuisce all’atmosfera misteriosa e vagamente inquietante della musica.
A sentire Bill Berry, l’idea iniziale per le percussioni era di usare solo delle congas per accompagnare il mandolino, che nel demo originale era leggermente più lento rispetto alla versione finale. La scelta definitiva è una traccia di batteria che è il perfetto supporto ritmico per gli altri strumenti, precisa e perfettamente integrata nella struttura.
Secondo Mike Mills, “Non puoi permetterti di esaltarti per qualcosa perché qualsiasi pezzo è nulla finché Michael non lo canta.” Anche se i tre strumentisti dei R.E.M. sono convinti della validità di quello che diventerà Losing My Religion, è il contributo di Stipe a dover trasformare una buona idea in una canzone finita. E questo contributo arriva sotto forma di una canzone su un amore non corrisposto, con un titolo ispirato a un modo di dire del Sud degli Stati Uniti. Partiamo da qui.
La prima cosa da dire è che l’espressione “lost my religion” non ha a che vedere con la religione in sé stessa. Si usa per indicare un momento di frustrazione tale che ti porta sul punto di “perdere la fede,” per dirla in italiano. Tutto il testo è, secondo le parole di Stipe, un trattato sull’insicurezza e sulla timidezza, sull’avere paura di confessare i propri sentimenti all’oggetto del desiderio. La naturale timidezza del cantante è, almeno in parte, una delle forze creative alla base del testo. Un’altra fonte di ispirazione è una delle canzoni più inquietanti della storia della musica, Every Breath You Take dei Police, un pezzo dalla melodia soave con Sting che canta alla sua maniera un testo di ossessione e, probabilmente, di amore non corrisposto.
Stipe racconta di aver registrato la sua traccia per la canzone in una volta sola, fermando la base un paio di volte per riprendere fiato. Appena terminata la registrazione se ne andò di corsa dallo studio, frustrato con l’ingegnere del suono, che secondo lui non era stato abbastanza rapido a seguire il suo istinto, ma convinto di aver fatto un buon lavoro. In una puntata della serie svedese di cui ho parlato anche nella scorsa puntata, Stipe spiega: “Con una voce emotiva come la mia, è facile esagerare su una canzone e trasformare un testo o una canzone mediocre in più di quello che è. Questo è ingannare il tuo pubblico e, in ultima analisi anche te stesso, perciò la mia performance in quello studio è molto importante. Volevo che fosse perfetta, ma la perfezione spesso è imperfetta.”
Il risultato finale, grazie all’aggiunta sapiente di una sezione di archi che sottolinea le parti più cariche dal punto di vista emozionale della canzone, è una melodia che sembra esistere da sempre e che va a colpire alcune emozioni primarie. Rick Beato mette in evidenza un aspetto che rende la melodia della voce memorabile. Per spiegarlo è necessario fare un discorso un po’ tecnico: il passaggio decisivo della melodia è una dissonanza che Stipe crea con la sua voce rispetto alla melodia. Nel momento in cui la chitarra e il mandolino suonano un Mi minore, cioè un accordo costituto dalle note Mi, Sol e Si, Stipe canta un Do, cioè una sesta bemolle, e, subito dopo, quando la base si sposta sul La minore, Stipe va sul Si, la seconda sospesa dell’accordo. Queste due note creano un effetto di sospensione e di oscurità unico, forse il più potente tra tutti quelli che si possono ottenere. Non a caso, il tema della sigla di X-Files usa un passaggio melodico simile.
Losing My Religion viene scelta come singolo di lancio di Out of Time, vincendo l’opposizione della casa discografica, che voleva invece una canzone più diretta e dal feeling completamente diverso, Shiny Happy People. Sarebbe stata una scelta molto più convenzionale, ma i R.E.M. erano decisi a voler mostrare al mondo che avevano preso una strada nuova rispetto al passato. Una canzone di quasi cinque minuti senza un vero e proprio ritornello e con il mandolino come strumento principale è tutto fuorché una scelta ovvia. A posteriori, è facile capire che avevano ragione i R.E.M., ma in quel momento era una mossa quantomeno azzardata. Quasi da un giorno all’altro, i R.E.M. vennero proiettati nell’olimpo delle rock band più importanti del pianeta. La canzone raggiunge il numero 4 nella classifica complessiva negli Stati Uniti, il numero 8 in Italia e il numero 1 un Norvegia e Olanda. Oltre a questo, la canzone ottiene un passaggio continuo in radio e su MTV grazie al video girato da Tarsem Singh che vincerà sei dei nove premi a cui era candidato agli MTV Video Music Awards del 1991, tra cui miglior video e miglior regia.
In effetti il video è parte integrante del motivo per cui Losing My Religion è diventata quello che è. È il primo video dei R.E.M. in cui Michael Stipe finge di cantare, ed è costruito su una serie di immagini che apparentemente non hanno un collegamento tra loro, con dei tableaux vivants ispirati all’immaginario di Bollywood, al costruttivismo socialista, al racconto Un signore molto vecchio con delle ali enormi di Gabriel Garcia Marquez, a Caravaggio e momenti in cui Stipe balla in una stanza polverosa. La scelta di Singh come regista del video si collega con la protagonista della scorsa puntata. Stipe ha raccontato alla TV svedese che è stato il video di Tired of Sleeping di Suzanne Vega a fargli pensare a Singh per Losing My Religion. Il video della canzone di Vega era fortemente ispirato dall’opera del fotografo cecoslovacco Josef Kudelka, di cui anche Stipe era appassionato. I racconti dicono che il primo giorno di lavorazione del video le cose andarono male, tanto che alla fine Singh ebbe una specie di crisi di nervi. Fu Stipe a risolvere la situazione proponendogli di ballare per lui, e prendendo ispirazione dal video di The Emperor’s New Clothes di Sinead O’Connor. E proprio un altro video della cantante irlandese, Nothing Compares 2 U, in cui compare inquadrata in primissimo piano e fortemente emotiva, aveva convinto Stipe a fingere di cantare nel video. Alla fine, il video di Losing My Religion non ha nulla a che vedere con il contenuto della canzone, ma crea per opposizione un perfetto accompagnamento al pezzo, rendendolo ancora più memorabile e conferendogli un altro livello di fascino enigmatico.
Quando un’opera d’arte viene presentata al pubblico, non è più esclusiva proprietà di chi l’ha creata, ma almeno in parte, diventa un patrimonio di chi ne fa uso. E questo è ancora più vero se l’opera in questione ha un enorme successo ed è fondamentalmente enigmatica, proprio come Losing My Religion. Può capitare che se ne faccia un uso molto diverso rispetto alle intenzioni originali e che entri a far parte della cultura pop al punto da venire usata come colonna sonora di un momento topico di una serie televisiva che ha segnato gli anni ’90 come Beverly Hills, 90210. E anche se nelle intenzioni dei R.E.M. il pezzo non ha nulla a che vedere con la religione, in molte parti del mondo il titolo è stato interpretato in maniera letterale: quando la canta uno dei personaggi di Glee, un’altra serie TV con ogni puntata strutturata come un musical, serve a sottolineare un momento di crisi religiosa. Addirittura, in diverse situazioni è diventato una specie di canzone di protesta in paesi come l’Irlanda, dove l’influenza della Chiesa nella vita pubblica era ritenuta eccessiva. Questo è probabilmente il miglior simbolo che si possa trovare per spiegare il successo di questa canzone e quanto sia entrata a far parte del patrimonio collettivo. Forse la qualità principale di Losing My Religion è di avere una struttura, un’armonia e una melodia che sembrano essere sempre esistite e che toccano le corde dell’inconscio in maniera quasi ancestrale. La trasmissione della TV svedese che racconta la storia di questa canzone, che è stata una delle principali fonti di questa puntata, inizia affermando che sembra strano immaginare un tempo in cui Losing My Religion non esisteva, ed è proprio questo il punto. Non sono molte le canzoni di cui si può dire una cosa di questo genere.